GLI OCCHI CHE RIDONO
Ma torniamo alla nostra illustrazione.
Potrei mettermi a fare l'analisi pittorica di questa (o di altre) illustrazioni parlandovi dell'uso del colore, dell'anatomia, delle scelte stilistiche, della tecnica e della composizione.
Descriverei il tutto in un italiano edificante o, meglio ancora, in un italiano criptico... ma solo per immaginare i più fra voi annuire con la testa dondolante e lo sguardo perplesso perso nel vuoto.
Quello che mi interessa è invitarvi a guardare i volti e le espressioni delle sue donne. Soffermatevi sul sorriso ma soprattutto gli occhi.
Sì. Sopra le tette. Guardate un po' più su. C'è il collo. Sopra il collo la faccia. Nella faccia ci sono le espressioni (dietro le espressioni ci sono le emozioni). Bravi! È lì che dovete guardare!
Gli occhi di Mary Jane Watson sorridono.
Vi pare una cosa da poco? Non lo è per niente.
Parlando in generale, nelle arti figurative è spesso difficile cogliere uno stato d'animo che non sia estremo o estremizzato (cioè che non sia determinato da una spinta emozionale netta, molto forte e definita).
È più difficile il sorriso timido della risata sguaiata, il cenno di saluto con la mano che il pugno tirato a tutta forza.
Ecco perché, per esempio, ci ritroviamo un sacco di fumetti "realistici" con dei personaggi principali quasi sempre totalmente inespressivi, monoespressivi o al massimo bi espressivi; quando per bi espressività intendo l'alternarsi di due paresi standard delle espressioni facciali del tipo: moltofelice/moltoincazzato (mentre i personaggi secondari, quasi per controbilanciare questa strana situazione, sembrano diventare sempre più caricaturali man mano che diminuisce il loro peso nella storia).
E tuttavia, quando anche la spinta emozionale c'è ed è forte, evidente, estrema, quando anche vengono rappresentati l'urlo di dolore o la risata diabolica del cattivo di turno, il lettore/fruitore dell'opera può sì certamente coglierne il significante (che quasi sempre rimane comunque evidente a prescindere dalla bravura dell'artista) ma il significato vero di quel determinato atteggiamento spesso non gli comunica nulla e alla fine lo lascia un po' freddo.
Questo perché tali atteggiamenti risultano talvolta rappresentati ed interpretati dall'artista in maniera scorretta oppure vengono proprio ignorati gli effetti visibili delle emozioni sulla muscolatura facciale e sulla postura della persona.
Cosa potrebbe aiutare l'artista a risolvere questo problema? Cosa potrebbe aiutarlo rendere i suoi personaggi più vivi e conseguentemente la loro recitazione più realistica?
Forse avere un buon manuale di anatomia? Fare tanto disegno dal vero? Fare e farsi tante foto?
Sì, certo, tutto questo certamente può aiutare. Ma non basta. O meglio, non è determinante.
L'artista vero dovrebbe andare un po' oltre queste cose e cercare nuove verità su sentieri poco battuti. Questo è il suo compito, la sua Vocazione. Altrimenti è solo un impiegatuccio
(con tutto il rispetto per gli impiegati, ovviamente... ma credo che abbiate capito il senso di questa piccola provocazione).
Innanzitutto gli sarebbe utile studiare un po' di comunicazione non verbale e magari guardarsi pure qualche puntata di LIE TO ME.
Che fra l'altro queste cose tornano molto utili anche nella vita pratica: vi aiutano a capire se lei/lui ci sta o la/o state annoiando a morte, se il vostro interlocutore mente ecc. ecc... ma shhh! Non ditelo a nessuno, eh...
Uno psicologo qualsiasi può spiegarti che cos'è l'empatia. Moltissimi possono capire cos'è anche senza googlare.
Lo psicologo stabilisce i dati e verifica le sue informazioni, guarda le persone e le cataloga in base a sintomi e patologie prestabilite (che, diciamolo, variano a seconda delle mode e della volontà delle lobby farmaceutiche...). Il suo sforzo produce un puro esercizio dialettico.
Come dicevo prima, l'artista deve andare un po' oltre: il suo sforzo deve produrre arte. Quindi deve sì stabilire i dati e verificare le sue informazioni ma anche partecipare con uno sguardo innamorato sul mondo.
Per l'artista, empatia significa capire che l'Altro esiste ed è anch'egli un portatore sano di sentimenti ed emozioni.
Significa riconoscere dentro di lui lo stesso mistero naturale del quale facciamo parte anche noi.
Se riesce a guardare l'Altro con questi nuovi occhi forse può riuscire perfino ad amarlo e accettarlo per quello che è. Spesso non è facile ma vale la pena tentare.
Per un artista amare l'Altro vuol dire riconoscere e fare propria la bellezza che sta dentro ogni persona. Fare propria la bellezza non vuol dire appropriarsi di un tesoro ma donarlo al mondo.
Una sorta di comunione (laicamente spirituale) con tutti gli esseri viventi ed il mistero della natura.
Perché la bellezza non può essere posseduta. Neanche chi nasce bello possiede realmente la sua bellezza.
E penso anche un'altra cosa: nonostante le percosse e le ingiurie di una sorte atroce, nonostante le ferite dell'amore disprezzato, nonostante i calci che i giusti e i mansueti ricevono dagli indegni, nonostante il dolore che non fa crescere ma abbruttisce, nonostante il tempo inesorabile che è pessimo medico e aguzzino instancabile...
nonostante tutto la Bellezza esiste e ci sopravvive. Ed è questa la mia idea di Eternità.
** A sinistra: DAREDEVIL - In mortal combat with Sub-Mariner, di Stan Lee e Wally Wood.
A destra: STRAIN - di Sho Fumimura e Ryoichi Ikegami.
Il loro amore ed il loro rancore eterno ha un valore altamente istruttivo.
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