L’altra sera davano Fantozzi su rete 4.
Quante volte avrò visto e rivisto l'intera saga? Almeno un migliaio di volte. E,
come me, tanti altri della mia generazione.
Prima dell’avvento del VHS avevo già
imparato tutte le battute a memoria (vi ricordate quando si affittavano i film
in videoteca? Altri tempi).
Lo guardavo e sorridevo (quasi sempre amaramente) anche quando le sfighe
quotidiane del povero ragioniere coincidevano con le mie (e NON perché a 7 - 8 anni facevo il
ragioniere, intendiamoci, ma perché ero un bambino goffo e timido e mi si
intrecciavano i diti un po’ come a tutti i bambini pressappoco della mia generazione
che non andavano dallo psicologo e non sputavano in faccia alle maestre e non
facevano calcio, nuoto, danza, karate a differenza dei bambini di oggi che
invece si fumano pure le sigarette drogate e sono alcolizzati a 12 anni mentre
noi lo diventavamo solo verso i 16-17 N.d.: Tantilughicomunimamicatanto).
Anche i miei amici lo guardavano, sorridevano e avevano imparato le battute (non bene come me ovviamente, che sono
artista dentro fuori e tutt’intorno… ma si potevano imbastire lo stesso delle scenette).
La stessa identica cosa valeva addirittura per mamma e papà… che però, essendo
impiegati (no, non nella Megaditta), forse avevano meno ragioni di ridere…
visto che indirettamente si parlava di loro, della loro generazione e della
loro realtà lavorativa.
Una realtà che attualmente non esiste più (o quasi).
A pensarci bene oggi, a mente fredda, con gli strati sedimentari della storia
ben depositati fra noi e la prima volta che abbiamo visto il ragionier Ugo, la
saga fantozziana è qualcosa di molto di più del ritratto o, se vogliamo, della
caricatura di una certa classe lavorativa, di una certa Italia, di un certo
periodo storico e di certe tipologie umane. Hanno già scritto un discreto
numero di libri su quest’argomento e ci sono fonti molto più autorevoli della Mia Arrogant Opinion che hanno sviscerato adeguatamente il fenomeno e ne hanno fatto l' analisi sociologica.
Lo stesso Villaggio ne ha parlato in numerose interviste.
Però quello che mi chiedo io è:
Se la serie era (e resta) un’AGGHIACCIANTE affresco di miserie umane, immerse
nel calderone di un Paese ogni giorno più ridicolo nel quale noi stessi ormai
affondiamo senza neanche più riuscire a galleggiare (dato che la merda sale
giorno dopo giorno ed è arrivata ben oltre il nostro collo) perché, perché ci
strappava una risata o quantomeno un sorriso? Insomma, cosa cazzo avevamo da ridere? Perché ridevamo?
Ho provato a darmi delle risposte.
Secondo me è perché eravamo convinti che non
saremmo mai e poi mai diventati come lui. Perciò lo potevamo guardare.
Perciò lo potevamo sopportare. Perciò si poteva sorridere: si stava parlando di
altri, mica di noi. Sì, a volte il ragioniere era simile a noi. A volte quelle
cose che capitavano a lui succedevano veramente in questo Paese. Ma non ERA
noi… e tanto ci bastava quella strana consapevolezza immotivata. Lui al massimo
poteva essere i nostri genitori, la generazione precedente insomma… i vecchi, patetici bigi (cit.).
Per noi (intendo quelli della mia generazione) era lecito
avere ben altre aspettative dalla vita. Potevamo spegnere la tv (meglio tenerla
accesa però e guardare le ragazze pettorute del Drive In o di Colpo Grosso) e
lasciare Fantozzi al suo circolo vizioso e catastrofico; a noi invece era
concesso sognare.
Non so bene chi cel’abbia lasciato credere. Forse il benessere che c’era prima in Italia (e del
quale, comunque, non ci accorgevamo, forse perché volevamo sempre di più, perché ci mostravano che si poteva -e si doveva-
avere sempre di più); forse è colpa della famiglia… sì, in questi casi si da sempre
la colpa alla famiglia.
Però io lo so benissimo che non possono
aver agito da soli.
Ora, lasciamo stare Fantozzi e pensiamo alla situazione economica e lavorativa attuale del Paese
Italia. Guardiamoci intorno, senza paraocchi.
[segue analisi socio-economica non richesta e probabilmente sballata, potete
saltare questo paragrafetto o infliggervelo: cazzi vostri… N.d.A.]
No, non vi dirò:
guardate come siamo ridotti ADESSO da quando c’è “lacrisi”; non userò il termine “crisi”…
perché, oltre ad essere un termine particolarmente paracoolo che mistifica la vera
natura delle cose (come anche tanti neologismi figli del politically correct a tutti i costi) viene sempre usato a
sproposito ed in maniera strumentale e quindi l'ABORRO con tutte le
mie forze. Dire “crisi” per me non
vuol dir nulla. Secondo me la “crisi”
altro non è che una fase (una fase, NON il culmine) di un lentissimo decadimento economico e culturale che va avanti da
decenni, e non una specie di catastrofe che ci è piombata fra capo e collo da
un paio d’anni (come invece spesso sembra,
a sentir parlare i sapientoni e/o politici vari ed eventuali alla tv).
Non è una cosa cominciata all’improvviso con l’entrata in Europa e l’avvento dell’Euro.
Io preferisco dunque la definizione “lento decadimento” (e, personalmente,
almeno per quanto riguarda l’Italia, lo colloco fra l’inizio del primo taglio
dei quattro punti percentuale della Scala Mobile - poi, nel 1992 verrà abrogata
definitivamente- e la caduta del muro di Berlino).
Insomma, problemi di definizione a parte; chiamatela crisi, chiamiamolo lento
decadimento… la sostanza non cambia: guardiamo come siamo ridotti ADESSO. E
traiamo le ovvie conclusioni.
Appurare la realtà di questo decadimento mi porta di conseguenza ad un'altra,
triste considerazione: penso che oggi come oggi c'è gente che ucciderebbe per
essere un Fantozzi. Fantozzi aveva la sicurezza del posto fisso e sapeva quello
che doveva fare. Il fatto che gli andasse sempre tutto storto era una cosa
quasi rassicurante, tanto per lui quanto per noi. Non ricordo le parole
precise, ma lo stesso Villaggio disse, in un’intervista, che in fondo Fantozzi era felice nel suo servilismo: con tutta
la sua mediocrità aveva trovato comunque un ruolo preciso nel mondo.
Ora, lungi da me esaltare la mediocrità ed il servilismo, penso però, con una
certa amarezza, a quanto la realtà per così dire “impiegatizia” (ma pure quella
operaia, eh) sia stata, in passato, spesso dileggiata e presentata addirittura come uno dei peggiori mondi possibili. Il fatto
stesso che la mia generazione sia stata indotta a crederlo e poi si è scontrata
con una realtà ben più dura (abbiamo
scherzato ragazzi: Babbo Natale non esiste. Fate la guerra fra poveri. Fate la
guerra con gli immigrati. Fate la guerra con i vostri padri e affondate le
manine bene bene nella merda, dai, non siate choosy) è come ammettere con
una franchezza disarmante che siamo andati BEN OLTRE LE PEGGIORI ASPETTATIVE del
catalogo PEGGIORI ASPETTATIVE palesatoci da piccoli (nel catalogo MIGLIORI
ASPETTATIVE c’erano invece: manager, broker, astronauta, ballerina).
A tal proposito, mi viene spesso in mente il verso di una canzone di Antonello
Venditti (Venditti. Embè? C’ho una cultura musicale a 360°, io) “Compagno di
scuola”.
Recita così:
“Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?”
Cioè. Ti sei SALVATO (sei colluso col
sistema, si prospetta la dannazione eterna) o sei andato a lavorare in
banca PURE tu (cazzo, non c’e l’ho fatta
a realizzare i miei sogni. Mi ritrovo sul groppone moglie e figli, me sa che me
tocca annà allavorà n‘banca… eh, sì, è un ripiego, però… oh, pe’ fortuna
ritrovo tutti j’amichi!).
Cioè. Come se lavorare in banca
fosse una cosa brutta tipo come fare la baby prostituta in Thailandia (fascia serale: grande inchiesta con testimone
di spalle, voce falsata e testa pixellata che spiega ai telespettatori come le
ragazzine si vendano per un quaderno di scuola e delle penne). Come se fare
l’operaio fosse una cosa brutta tipo come morire di fame in Africa (ora di pranzo, stacco pubblicitario: scorre l’immagine del bambino nero
con la pancia piena d’aria, divorato dalle mosche - sentitevi in colpa e adottate dunque un bambino a distanza!).
Cioè: il peggiore dei mondi possibili, i
peggiori mondi possibili, insomma.
Cristo... bisogna essere proprio ricchi per potersi permettere di ragionare
così.
Ma sapete cosa c’è? C’è però che io sono un po’ diverso.
Sono un animale strano.
Sono un cane sciolto.
Non lavoro in banca, non lavoro in fabbrica, non faccio il ragioniere.
Sono un disegnatore di fumetti.
E quindi, tutto sommato, di certe problematiche me ne sbatto.
Stefano "choosy" Santoro.
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